Nel mese di agosto dello scorso anno, proprio in occasione della solennità dell’Assunta, mi sono potuto recare a Pistoia, cittadina toscana tranquilla, nobile e ricca d’arte. Tra i vari appuntamenti che da buon lombardo mi ero prefissato, mi sono recato al Monastero Santa Maria degli Angeli, dove risiedono da secoli le Monache Benedettine. Dovete sapere che Madre Ana e le consorelle furono le prime con cui condivisi la mia idea di aprire un negozio di prodotti monastici: ovviamente accolsero il progetto con entusiasmo, ma, cosa ancor più essenziale, assistendomi sempre fraternamente con la loro preghiera. La Provvidenza ha anche voluto che fosse la loro la prima comunità religiosa da presentare in televisione su Rai2.
Ritornando al viaggio, oltre che poter partecipare con loro alla preghiera corale (Madre Ana suona divinamente l’organo e io modestamente mi difendo bene in quanto a canto gregoriano), ho avuto il privilegio di poter visitare il giardino e l’orto. Che dire? Una meraviglia! Rimasi commosso non solo dalla fraterna (e benedettina) accoglienza, ma anche dalla insospettabile bellezza degli aranci selvatici tra le mura del chiostro, tra le case della città. E poi, visitare l’antica spezieria, tra antichi strumenti e moderni aggeggi, dove le monache producono ancora le marmellate di arancia, gli arancini canditi, il rosolio officinale…
Proprio a riguardo del rosolio, mi hanno raccontato la sua storia, che ha del miracoloso: nel 1600, a causa della carestia, le monache stavano morendo di fame. Erano suore di clausura e quindi non potevano uscire per procurarsi il cibo. Un giorno qualcuno suonò alla porta e loro, aprendo la ruota, trovarono uno scritto con una strana ricetta. La monaca che si occupava della spezieria la realizzò, utilizzando per la prima volta le arance del giardino e così ottennero il loro famoso rosolio la cui vendita procurò per secoli i mezzi per sopravvivere. La Madre superiora desiderava sapere chi avesse mandato loro quella ricetta provvidenziale e chiese alle consorelle di pregare per questo. Un giorno bussarono ancora alla porta e trovarono un biglietto che conteneva una risposta: “Sono San Giuseppe, nonché la Provvidenza”.
E così, dopo aver condiviso pensieri e cose belle, con l’animo lieto, chiuso alle spalle il grande portone della clausura, ho ripreso la strada verso Brescia (non a mani vuote, ovviamente).