Cena Monastica a Mondolfo

Sono grato a Filippo Sorcinelli di avermi invitato alla Cena Monastica inserita nel Synesthesia Festival. Giovedì 19 luglio a Mondolfo, gradevolissima località marchigiana, il Bastione S. Anna (un giardino pensile con annessa limonaia, facenti parte di un antico Monastero) è stato trasformato in un suggestivo refettorio all’aperto.

Il silenzio dei commensali, la musica, il canto gregoriano, le letture, il cibo semplice e tradizionale, le luci e i rami di ulivo sui tavoli, la luna che ha fatto capolino nel cielo… la passione di Filippo e dei suoi validi collaboratori… tutto ha contribuito a rendere unica questa serata. Abbiamo vissuto un momento di vera e propria sinestesia dei sensi che ha parlato all’anima. Grazie, davvero!

Il mio compito è stato quello di scegliere le letture e interpretare il monaco lettore, come in vero e proprio refettorio monastico. Per l’occasione Stefano Piva, Monaco del Monastero di Siloe, su mia richiesta e sua gentile concessione, ha scritto un testo, che condivido volentieri con voi:

“Chi in principio, quando sorse l’Ordine monastico, avrebbe creduto che i monaci potessero arrivare a tanta mollezza? Quanto sono lontani dai monaci che c’erano ai tempi di Antonio! Costoro quando per carità, di tempo in tempo, si facevano visita, prendevano l’uno dall’altro il pane delle anime con tanta avidità che, interamente dimenticando il cibo del corpo, trascorrevano per lo più tutto il giorno digiunando con il ventre, ma non con la mente. E quello sì era il retto ordine, quando cioè si aveva cura della parte più degna.. invece quando noi ci raduniamo (adopererò le parole dell’Apostolo): Non è ormai più un mangiare la cena del Signore! Non c’è più nessuno che cerchi il pane celeste, nessuno che lo dispensi; in refettorio non vi si tratta delle Scritture, non vi si tratta dalla salute delle anime; invece parole al vento, ciarle, risate. Durante il pranzo quando le fauci si pascono di vivande, le orecchie si riempiono di vane parole, e mentre vi si porge attenzione con tutto l’animo, non si conosce la misura nel mangiare. Frattanto si reca una portata dopo l’altra e mentre ci si astiene dal piatto unico di carne, si raddoppiano in compenso i piatti di grossi pesci. E quando sarai sazio dei primi, se stenderai la mano ai secondi, ti sembrerà di non aver ancora gustato abbastanza pesci. Tutti i piatti vengono infatti preparati dai cuochi con tanta cura e arte che, anche dopo aver divorato quattro o cinque portate, le prime non impediscono di mangiare le ultime e la sazietà non spegne l’appetito. Il palato infatti mentre viene sedotto da nuovi condimenti, si disabitua gradualmente ai cibi abituali e, come se fosse ancora digiuno, rinnova avidamente il suo desiderio di gusti rari. Il ventre invero si aggrava senza saperlo ma la varietà dei cibi elimina il disgusto… La qualità stessa dei cibi si procura che appaia esternamente tale che non solo il gusto ma anche la vista ne abbia piacere.. e mentre gli occhi vengono allettati dai colori e il palato dai sapori, il misero stomaco, che né percepisce i colori né gusta voluttuosamente i sapori, costretto ad accogliere tutti questi cibi, rimane oppresso e viene piuttosto aggravato che ristorato.”

Queste righe sono tratte dall’Apologia all’Abate Guglielmo scritta da Bernardo di Chiaravalle, con gustosa retorica e qualche esagerazione, nella controversia tra l’osservanza cistercense, più rigorista, e quella cluniacense, a detta di Bernardo, più rilassata. In effetti, in tutta la tradizione monastica, soprattutto nei primi secoli, tutto ciò che riguarda la dimensione corporale è considerato con un certo sospetto e le grandi imprese dei monaci antichi quanto a opere ascetiche (digiuni, veglie, vita aspra, penitenze corporali) sono state considerate come espressioni inarrivabili di virtù. Il cibo è strettamente connesso ad un dei vizi capitali, la gola. Giovanni Cassiano all’inizio del V secolo si esprime cosi “Esistono tre sottospecie di golosità. La prima spinge il monaco a nutrirsi senza tener conto dell’ora stabilita dalla regola; la seconda si diletta nell’ingurgitare e nel mangiare con voracità; la terza vuole cibi ricercati e delicati. Tutte e tre arrecano al monaco un danno non indifferente, a meno che egli non si sforzi di liberarsene con grande impegno e pari fedeltà. Come non deve mai prendersi la libertà di rompere il digiuno prima dell’ora stabilita, così, il buon monaco deve sapersi interdire la ghiottoneria e la ricercata delicatezza dei cibi. Da queste tre fonti derivano molte gravissime malattie dell’anima.”

Cosa ci dice San Benedetto nella sua Regola? Leggiamo il Capitolo XXXIX – La misura del cibo.
“Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato – a seconda delle stagioni – dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte,in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa ristorarsi con l’altra. Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza .Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c’è un solo pasto, che quando c’è pranzo e cena. In quest’ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena. Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l’abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento, purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall’ingordigia. Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola, come dice lo stesso nostro Signore: “State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo”. Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà. Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli.”

San Benedetto precisa a cosa serve mangiare: ristorare, ridare vigore. Questo semplice principio permette di comprendere le precisazione che vengono poi fatte: né troppo né troppo poco, né troppo ricercato, né trascurato. Uno stomaco affamato non ascolta, uno stomaco troppo pieno è incline al sonno. Il fine del cibo è infatti di rendere disponibile il cuore e lo spirito all’ascolto. L’attenzione spirituale non va d’accordo con il gorgoglìo dello stomaco vuoto o con la sonnolenza causata da uno stomaco appesantito. San Benedetto ha una visione unitaria dell’uomo, non c’è separazione tra carne e spirito. E come le malattie dell’anima si riflettono nel rapporto con il cibo così un uso sconsiderato del cibo influisce sulla dimensione spirituale. Si intravvede anche un cammino di libertà: misura e tempi della refezione non sono stabiliti autonomamente dal monaco, ma dalla regola o dall’abate. Ciò aiuta a rendersi sempre più liberi dai propri istinti e desideri che molto spesso condizionano pesantemente la nostra vita. Insieme a questo, c’è un’attenzione alle singole persone: non tutti siamo uguali e ognuno ha necessità specifiche. Anche in questo San Benedetto è un maestro di cura e profonda conoscenza dei singoli monaci. Il tutto tenendo conto di evitare ogni eccesso “perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola, come dice lo stesso nostro Signore: “State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo”. E’ da notare come qui usi la parola cristiano e non monaco e quindi come le sue indicazioni possano essere accolte da tutti. Il refettorio monastico è quindi un luogo di profonda umanità e di umanizzazione. Può essere assimilato alla chiesa del monastero, come in chiesa si ascolta la Parola di Dio e ci si nutre. E il silenzio che accompagna i pasti non solo permette di ascoltare le letture che vengono fatte ma permette anche un ascolto attento di sé ed allena all’ascolto vero dei fratelli.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato Required fields are marked *
You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>